Al cuore della vicenda antisemitismo nella Chiesa c’è un problema insoluto, accantonato e spesso negato: l’ebraicita’ di Gesù. Ci si è arrampicati sugli specchi per negarla, ci si è convinti che Gesù era ebreo ma poco poco, che faceva solo finta a partecipare alle festività ebraiche, ma che sostanzialmente aveva rotto i ponti con tutto ciò che era ebraico. Congetture insostenibili, senza alcuna reale conferma evangelica, ma vennero ripetute in migliaia di prediche basate non sui Vangeli ma solo su un pregiudizio venato di razzismo. La Chiesa per secoli ha fatto di tutto per costringere gli ebrei a convertirsi, cioè a sparire come popolo: il “segno” per distinguerli dai cristiani, la proibizione assoluta di fare qualsiasi lavoro ma solo gli straccivendoli o gli usurai, e poi le cacciate, le persecuzioni dei marrani, e poi i ghetti, le case per i catecumeni, le prediche obbligatorie, i rapimenti dei bambini ebrei battezzati di nascosto. Almeno un migliaio di anni di persecuzioni, con la ciliegina sulla torta della Shoah a cui la Chiesa assistette con indifferenza ufficiale, sia durante la guerra che dopo. Certo, singoli cristiani si distinsero, ma furono elogiati solo dagli ebrei, non certo dalla Chiesa. La Chiesa ha provato a far sparire il popolo ebraico, ma non c’è riuscita, e questa sconfitta pesa ancora come un macigno. La nascita di Israele fu vista come una minaccia alla libertà di culto, scusa peregrina per nascondere un malumore neanche tanto celato. Ci volle un Papa Santo, Giovanni Paolo II, per il riconoscimento ufficiale dello stato di Israele e per la storica visita al Tempio Maggiore di Roma. Il dialogo inter religioso ebraico cristiano però è rimasto un hobby per élites culturali, ma non è mai entrato nel cuore e nel cervello del cristiano medio, e difatti i miasmi infami dell’antisemitismo ora stanno emergendo liberi, senza alcuna reazione né da parte della Chiesa ufficiale né da parte del popolo cristiano. Gesù bambino diventato palestinese, con tanto di kheffia bianconera nella culla, le bandiere palestinesi sull’altare e sulle casule dei celebranti raccontano una storia molto triste e molto ignorante. Ora, finalmente, non si parla più di “Chiesa Nuovo Israele”, ma non si parla mai di pellegrinaggi in Israele, ma sempre e solo in Terra Santa oppure in Palestina, e 20 anni di lavoro come guida in Israele mi hanno fatto capire quanto profondo sia il sospetto unito al pregiudizio. Eppure il cuore del cristianesimo è ebreo: tutto ciò che è essenziale nel cristianesimo viene dall’ebraismo, tutto ciò che invece è marginale, superfluo, accessorio viene dalle contaminazioni col mondo. Più la Chiesa si allontana da Israele, più si allontana da sé stessa, dalle proprie radici, e dal proprio futuro. Noi cristiani siamo stati innestati sul tronco dell’olivo buono: dimenticarlo ci farà molto, molto male. Non siamo noi cristiani a portare la radice, ma è la radice, cioè Israele, che porta noi. Se la Chiesa non vuole perdersi nel sociologismo d’accatto, se non vuol diventare una delle tante ONG né ridursi a custodire cimiteri e musei, deve ricominciare a parlare con i fratelli ebrei. Deve imparare l’ebraico, deve tradurre con fedeltà la Parola di Dio senza aggiustamenti scandalosi e fuorvianti, deve imparare ad interrogarsi su sé stessa e sul proprio rapporto con l’Eterno, che non ha mai rinnegato il suo popolo. Che l’Eterno ci protegga e ci custodisca, ci difenda dal male e ci aiuti a riscoprire una fraternità forse difficile ma mai interrotta.
Amen.
“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte." Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...
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