Matteo Zuppi è oggi il volto più esposto della Chiesa italiana. Presidente della CEI, mediatore in missioni diplomatiche delicate, figura amata dai media progressisti. Ma dietro l’immagine di pastore sorridente si nasconde una frattura che interroga tanto i fedeli quanto la politica vaticana.
Zuppi parla di pace, ma non nomina mai l’aggressore. Va a Mosca, a Pechino, a Washington: viaggi presentati come storici e risolti in comunicati prudenti, in dichiarazioni generiche. Da mesi è il “cardinale del dialogo”, ma il dialogo non produce risultati.
Il punto non è la buona fede. Il punto è l’ambiguità. In Ucraina c’è chi invade e chi subisce. In Israele c’è un terrorismo che colpisce civili. Eppure le parole di Zuppi sembrano disegnate per non incrinare rapporti, per non disturbare nessuno. Una neutralità che, a lungo andare, appare come debolezza.
Dentro la Chiesa la percezione è duplice. Da un lato, c’è chi lo vede come il futuro: aperto, inclusivo, in sintonia con il Papa. Dall’altro, cresce la sensazione che sia lontano dai problemi reali delle parrocchie italiane, più a suo agio negli incontri diplomatici che nei quartieri dove i fedeli si riducono e le vocazioni crollano.
Non è solo questione di politica estera. È questione di credibilità. Un cardinale non può trasformarsi in ministro degli Esteri senza rischiare di perdere il suo ruolo di guida spirituale. E Zuppi, con la valigia sempre pronta, rischia di sembrare un protagonista in cerca di palcoscenico, più che un riferimento saldo per il cattolicesimo italiano.
È questa la sua contraddizione più profonda: voler essere al tempo stesso pastore e negoziatore, guida dei fedeli e uomo di apparati, voce morale e diplomatico prudente. Due ruoli che raramente convivono, e che in lui finiscono per annullarsi a vicenda.
Zuppi rimane dunque sospeso. Troppo politico per essere solo cardinale, troppo cardinale per diventare vero politico. Una figura che affascina ma non convince, che sorride ma non incide. Un cardinale delle ambiguità, più che della chiarezza.
“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte." Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...
Commenti
Posta un commento
L'autore del blog è andato via per sempre.