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GAZA la verità finale

Ho passato mesi a scrivere e scavare, e ogni volta che ho messo insieme un pezzo, il quadro è diventato più chiaro: la questione palestinese non nasce come sogno tradito, ma come Stato mai nato. Dal 1948 in poi, la leadership araba ha preferito la guerra al compromesso. Israele ha dichiarato la propria indipendenza, i palestinesi no. Non per caso, ma per scelta politica, armata, strategica. È da lì che si capisce tutto. Poi c’è la macchina degli aiuti. Miliardi su miliardi piovuti su Gaza e Cisgiordania, cifre sproporzionate rispetto a qualsiasi altra crisi umanitaria. Con quei soldi Israele avrebbe bonificato deserti e costruito città; a Gaza, invece, sono diventati tunnel sotterranei, arsenali, stipendi a miliziani. Non lo dico io: lo dimostrano i numeri. Eppure, ogni volta che lo scrivo, mi accusano di cinismo. Dietro questa lunga guerra non c’è solo odio locale: c’è una regia esterna. Paesi che hanno fatto del conflitto israelo-palestinese la loro moneta di scambio. Il Qatar che finanzia Hamas e intanto ospita uffici politici con tappeti persiani. L’Iran che manda soldi, addestratori e missili. E poi la vecchia Europa, che si lava la coscienza riversando fondi e dichiarazioni, senza mai pretendere responsabilità. Le bugie su Gaza non finiscono mai. Ho smontato il rapporto IPC, la carestia proclamata a tavolino con dati raccolti al telefono e “consenso politico” invece di indagini sul campo. Ho raccontato come lo IAGS, l’associazione degli studiosi di genocidio, sia riuscita a bollare Israele come “genocida” con appena il 28% dei membri al voto. Eppure i giornali l’hanno trasformato in sentenza globale. E intorno, la sinistra europea: un’armata di indignazioni a comando, capace di commozione prefabbricata per Gaza e di voltarsi dall’altra parte per Sudan o Yemen. Con un dettaglio mai chiarito: i legami sotterranei con partiti e movimenti che hanno rapporti diretti con organizzazioni terroristiche. Non è solo politica, è un network. Ci sono dentro accademici della vecchia sinistra, quelli che non hanno mai digerito Israele come avamposto occidentale. Ci sono ONG trasformate in agenzie di comunicazione. Ci sono giornalisti che si limitano a rilanciare senza verificare. È un’architettura, non un caos. Io non porto conflitti di interesse. Porto i dati, le cronologie, i bilanci degli aiuti, le anomalie delle fonti. Porto i nomi dei paesi che hanno mantenuto il conflitto in vita per mezzo secolo. Porto i numeri sproporzionati di un dossier dopo l’altro. Non è un esercizio intellettuale: è un atto di onestà. La verità è che Gaza non è solo un conflitto: è un’anomalia globale. Un pezzo di terra trasformato in palcoscenico, dove ogni immagine diventa arma e ogni parola diventa sentenza. Nel resto del mondo si muore in silenzio, senza telecamere, senza flotillas, senza cortei. In Sudan, Yemen, Congo non ci sono hashtag né red carpet, e i cadaveri non fanno notizia. Gaza invece è diventata il teatro dove si investe indignazione selettiva, soldi e carriere. È la prova vivente che non tutte le guerre pesano allo stesso modo, non tutte le vittime valgono uguale. E allora il punto non è più solo la tragedia di Gaza. Il punto è capire perché una sola striscia di terra catalizzi da decenni la coscienza del mondo, mentre il resto dell’umanità può morire in silenzio. Questa è la vera anomalia. La verità su Gaza non è quella che piace ai cortei o alle ONG. È una verità scomoda: un conflitto mantenuto artificiosamente vivo da chi ci guadagna. E se tanti preferiscono tacere o girarsi dall’altra parte, io no: io lo dico, chiaro e senza sconti.

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