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Mosab Hassan Yousef, quasi un anno dopo

Era il 24 ottobre 2024 quando Mosab Hassan Yousef – figlio del cofondatore di Hamas, ex insider del terrore – prese la parola al Parlamento europeo. Una voce che veniva dall’interno dell’orrore, non dalle ONG, non dalle accademie. Un uomo che aveva visto crescere il mostro e aveva deciso di ribellarsi. Quel giorno, a Bruxelles, Yousef mise sul tavolo verità che bruciavano: – La “questione palestinese” non è solo territoriale, è ideologica. – Premiare la violenza palestinese è un errore storico. – Indottrinare i bambini all’odio significa fabbricare carne da cannone. – Finanziamenti a leader corrotti e terroristi equivalgono a complicità. – La legittimazione della violenza anti-ebraica è il cancro dell’Europa. – Non c’è pace senza separazione tra moschea e Stato. – Gaza e Cisgiordania hanno diritto ad autogovernarsi, ma parlare di “Stato palestinese” oggi è una truffa. – L’unica via d’uscita: economia, infrastrutture, educazione. Non bombe, non slogan. Un anno dopo, di quel discorso resta poco nelle agende politiche. Ma ogni parola si è trasformata in fotografia della realtà. Premiare la violenza, il vizio europeo Yousef fu netto: “Premiare la violenza palestinese è un errore.” L’Europa non ascoltò. Lo vediamo nelle piazze dove la kefiah è diventata simbolo di esaltazione jihadista, non di solidarietà. Lo vediamo nei parlamenti, dove si votano mozioni che riconoscono “lo Stato di Palestina” mentre i rapiti israeliani restano nelle gallerie di Hamas. La profezia di Yousef era chiara: normalizzare la violenza significa condannare anche le nostre società a digerire l’estremismo. Oggi l’Europa si ritrova a discutere se sia “libertà d’espressione” gridare “morte agli ebrei”. L’infanzia rubata Yousef parlò dell’indottrinamento infantile. Bambini cresciuti con libri scolastici dove Israele non esiste, dove l’ebreo è il nemico eterno. Disse: “Serve investire nell’istruzione vera.” Un anno dopo, nulla è cambiato. Gaza resta una fabbrica di odio: lezioni di martirio al posto di matematica, poster di kamikaze al posto delle mappe geografiche. Gli stessi bambini che dovrebbero essere il futuro vengono trasformati in scudi umani e carne da propaganda. L’Europa continua a finanziare agenzie che usano libri avvelenati, e chi denuncia viene zittito con l’accusa di “islamofobia”. I soldi agli assassini Yousef denunciò i miliardi che finiscono ai leader corrotti: ville, conti all’estero, milizie armate. “Smettete di finanziare i terroristi,” disse. “Investite in una leadership non violenta.” Oggi, i numeri parlano chiaro: miliardi di aiuti internazionali arrivano a Gaza e in Cisgiordania. Dove finiscono? Nei tunnel, nelle tasche delle élite, nelle tasche dei clan. Non negli ospedali, non nelle scuole, non nel lavoro. Il paradosso è che il mondo paga il biglietto d’ingresso al proprio carnefice. Hamas ringrazia, i palestinesi onesti restano senza pane. Invasione islamista: Israele ed Europa sulla stessa linea di fuoco Altro punto: Yousef parlò dell’Europa. Avvertì che l’infiltrazione jihadista non era fantasma ma processo in corso. Disse che Israele ed Europa condividevano la stessa minaccia. Oggi quell’allarme esplode nelle cronache: cellule smantellate in Francia, Germania, Belgio; imam radicali che predicano odio sotto le bandiere dei diritti; quartieri trasformati in enclave dove la legge della moschea conta più della legge dello Stato. L’Europa ascoltò? No. Preferì sventolare slogan, lasciare aperte le frontiere, finanziare ONG ambigue. Diritti e doveri Yousef lo disse senza mezze misure: “I criminali e i terroristi non hanno gli stessi diritti.” Sembrava ovvio. Ma nell’Europa che si commuove per i carnefici e dimentica le vittime, quell’affermazione suonava come un’eresia. Risultato: rapitori e assassini elevati a “resistenti”, ostaggi dimenticati. Le conseguenze? Crescita dell’antisemitismo, minoranza ebraica sotto attacco, aggressioni per strada, sinagoghe sorvegliate come fortini. Esattamente ciò che Yousef aveva previsto. La grande illusione dello Stato palestinese Altro passaggio ignorato: “Gli arabi a Gaza e in Cisgiordania hanno diritto ad autogovernarsi. Ma uno Stato palestinese oggi è fuori discussione.” Oggi, mentre alcuni governi europei riconoscono la “Palestina”, la realtà dice altro: Gaza è un feudo di Hamas, la Cisgiordania un mosaico di corruzione e faide. Chiamarlo Stato è insulto al concetto stesso di sovranità. L’eredità ignorata Cosa resta dunque del discorso del figlio di Hamas? Resta una lezione che nessuno ha voluto ascoltare. Resta la voce di chi conosceva il nemico dall’interno e aveva il coraggio di dire ciò che i nostri politici temono. Resta la prova che le soluzioni non passano dalle conferenze stampa ma dalle scelte: smettere di finanziare il terrore, separare religione e Stato, investire in infrastrutture vere. Un anno dopo, l’Europa è più fragile, Israele più isolato, Gaza sempre più ostaggio dei suoi padroni. Tutto ciò che Mosab Hassan Yousef aveva previsto. Quando un uomo cresciuto nel ventre di Hamas trova la forza di denunciare il sistema che lo ha partorito, l’unica risposta possibile sarebbe ascoltarlo. L’Europa, invece, ha scelto il silenzio. E quel silenzio, oggi, è complicità.

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