Cos’è accaduto davvero nel giorno più nero per gli ebrei dopo la Shoah
Il 7 ottobre 2023 non è solo una data.
È una cesura storica, uno spartiacque, un ritorno all’orrore che il mondo giurava di non voler più vedere.
Quello che è accaduto in Israele quel giorno non è un’operazione militare. Non è nemmeno una semplice strage.
È un crimine contro l’umanità pianificato, filmato e celebrato.
È uno sterminio etnico e ideologico con intenti dichiarati e prove documentate.
Altro che “resistenza”: il 7 ottobre è stato genocidio in diretta.
I fatti, senza giri di parole
Nelle prime ore dell’alba, Hamas ha lanciato un attacco senza precedenti:
oltre 3000 miliziani sono penetrati in territorio israeliano,
via terra, aria e mare,
uccidendo a sangue freddo più di 1200 civili,
rapendo circa 250 persone, tra cui donne, bambini e anziani.
Le immagini delle bodycam e dei cellulari rubati dagli stessi terroristi mostrano bambini decapitati, famiglie bruciate vive, stupri su donne e ragazze, mutilazioni di cadaveri.
I video non li ha prodotti Israele.
Li ha diffusi Hamas, con orgoglio.
Per mostrare che non c’è confine morale, non c’è distinzione civile/militare. Solo odio.
Cos’è uno sterminio?
Secondo la Convenzione sul Genocidio dell’ONU (1948), un atto genocidario si configura quando:
“si compiono atti violenti con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso.”
Il 7 ottobre:
le vittime sono state scelte in quanto ebrei o israeliani,
l’obiettivo era terrorizzare, cancellare, umiliare un intero popolo,
l’azione era sistematicamente organizzata, con supporto logistico e mediatico.
Non è solo un massacro. È uno sterminio su base identitaria.
Chi minimizza, collabora
Dal giorno dopo, si è attivata la seconda ondata dell’attacco: quella della narrazione.
“È stato un atto di resistenza”: no, resistere è colpire obiettivi militari, non bambini addormentati.
“Israele uccide di più a Gaza”: è un’altra guerra, un altro tema. Non giustifica un crimine deliberato.
“Ci sono anche fake news”: sì, ma i crimini certi sono troppi e documentati. E nessuno li ha mai smentiti seriamente.
Il fatto che oggi, in molte piazze occidentali, si neghi o si giustifichi l’orrore del 7 ottobre è il vero sintomo della malattia morale dell’Occidente.
Una parte del mondo sta dicendo, di nuovo:
“Se uccidi un ebreo, forse hai le tue ragioni.”
Il giorno dopo la Shoah
Per gli ebrei, il 7 ottobre è stato il peggior massacro dalla Shoah.
Non per i numeri (che già bastano), ma per il ritorno della logica del pogrom:
l’uccisione come punizione collettiva,
la distruzione come messaggio politico,
lo stupro come strumento ideologico,
la gioia della morte come atto di fede.
Non è un’eccezione. È un manifesto.
E Hamas lo ha rivendicato così:
“Ripeteremo il 7 ottobre ancora e ancora, finché Israele non sarà cancellato.”
Chi ha il coraggio di chiamarlo col suo nome?
Non l’ONU, che ha impiegato giorni a reagire.
Non l’Europa, che ha oscillato tra il silenzio e il “ma anche”.
Non una parte della stampa, che ha aperto con “Israele bombarda Gaza” il giorno in cui Israele contava i cadaveri bruciati nelle case.
E adesso?
Chi osa dire “genocidio” per Gaza, ma tace sul 7 ottobre, ha perso il diritto di parlare di diritti umani.
Chi difende l’indifendibile, non ha più scuse né alibi.
Non è guerra. È sterminio.
Il 7 ottobre non è un episodio isolato.
È la manifestazione più brutale di un’ideologia che predica la morte degli ebrei, la distruzione dello Stato d’Israele e la legittimità della violenza su civili come atto di giustizia divina.
Chiamarlo in un altro modo è collaborare.
Giustificarlo è complicità.
Perché oggi bisogna scegliere
Non tra Israele e Palestina.
Ma tra verità e menzogna, tra giustizia e barbarie.
E se ancora non riesci a capire cos’è successo il 7 ottobre, c’è solo una cosa da fare:
guardare negli occhi le vittime. E poi smettere di mentire.
“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte." Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...
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