Storia, ipocrisie e verità scomode sull’insediarsi dove vivevano altri
C’è stato un tempo in cui essere coloni era un vanto. Poi è diventato un crimine. Ma nessuno, nessun popolo sulla faccia della Terra, può dire di non esserlo mai stato.
Il termine “colono” oggi è carico di accuse. In certi contesti è sinonimo di oppressore, usurpatore, invasore. Un’accusa che divide, condanna, polarizza. Ma nel corso della storia, essere colono era normale. Anzi, era una delle poche strade per sopravvivere, crescere, espandersi. Tutti, prima o poi, abbiamo preso terra da qualcun altro.
Da Roma all’America: la storia è una lunga marcia di coloni
I Romani colonizzavano territori conquistati e ci mandavano famiglie per stabilire ordine e romanità. I Greci fondavano polis nel Mediterraneo, “civilizzando” coste che oggi sono italiane, turche, libiche. Anche i popoli germanici, gli arabi, i mongoli, i bizantini: tutti coloni, ciascuno a modo suo.
E poi i moderni: Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Olanda. L’Europa ha disseminato il pianeta di coloni. In nome di Dio, della bandiera, del commercio o della razza. Ma sarebbe falso credere che solo l’Occidente abbia colonizzato. L’Impero ottomano lo ha fatto, l’Impero cinese anche. E oggi? Anche la Cina in Africa. Anche la Russia nel Donbass. Anche il Marocco nel Sahara Occidentale.
Colono non è solo chi prende la terra, ma chi la cambia
Essere coloni non significava solo occupare. Significava trasformare. Nuovi villaggi, nuove strade, nuove religioni, nuove lingue. Ma anche: sradicamenti, cancellazioni, disuguaglianze.
Nel tempo, la figura del colono è passata da eroe pionieristico a imputato storico. Da chi apriva la frontiera a chi violava i confini. È cambiato lo sguardo, non il gesto.
Il diritto internazionale ha cambiato la percezione. Ma non la realtà.
Dopo il 1945, con la nascita dell’ONU, la decolonizzazione e i processi anticoloniali, nasce un nuovo dogma: nessun popolo ha diritto di insediarsi dove ne vive un altro senza consenso. Nasce così il concetto giuridico di “colono illegale”.
La Quarta Convenzione di Ginevra vieta il trasferimento di popolazioni civili nei territori occupati.
Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale qualifica il trasferimento come crimine di guerra.
Ma questa norma si applica selettivamente. E con memoria corta.
La memoria selettiva del colonialismo
Quando si accusa Israele per gli insediamenti in Cisgiordania, è giusto discutere. Ma diventa ipocrita farlo da paesi che hanno colonizzato per secoli e non hanno mai chiesto scusa veramente.
L’Europa che oggi si indigna per i coloni israeliani è la stessa che ha distrutto interi popoli, dal Congo al Sud America, e ha lasciato in eredità frontiere tracciate col righello, guerre etniche, cicatrici aperte.
Persino i paesi arabi, che condannano la colonizzazione sionista, hanno represso minoranze, annesso territori, islamizzato tribù e lingue autoctone.
Coloni anche senza saperlo
Quando una città cresce e ingloba campagne o villaggi antichi, non è forse una forma moderna di colonizzazione?
Quando si insediano imprese occidentali in Africa, costruendo quartieri esclusivi per espatriati, scuole internazionali e hotel di lusso, non è anche quella una colonizzazione economica?
Quando un gruppo dominante impone lingua, cultura e religione, non sta forse colonizzando l’altro?
Siamo tutti coloni, oppure nessuno lo è più
Il punto è questo: nessuno ha diritto di riscrivere la storia scegliendo chi può abitare dove.
Se condanniamo i coloni oggi, dobbiamo farlo per tutti, sempre. Ma se ammettiamo che la storia è una catena di insediamenti, di conquiste, di contaminazioni, allora bisogna essere onesti: tutti siamo stati coloni. Anche se non ci piace.
La verità non è comoda. Ma è l’unico terreno su cui possiamo davvero costruire qualcosa di nuovo.
“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte." Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...
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