Per certi versi ho avuto una vita fortunata, in giro per questa penisola negli anni migliori, quelli in cui ti costruisci come persona. Viaggiavo, mi fermavo e ascoltavo. Io ascoltavo, i dialetti e i suoni, il rumore che facevano i pioppi mossi dal vento lungo il canal Villoresi, quello del mare sulle scogliere di Quarto, il silenzio sospeso dei latifondi in provincia di Caltanissetta. Per certi versi non potevo essere più sventurato: la cultura unita alla curiosità, l’analisi, la sintassi linguistica, il sapere “dentro” e non per slogans non aiutano sempre a vivere, certe volte ti uccidono, garbatamente però. Ma l’isola non è un luogo soltanto “sfavorito”: anche ai tempi di Omero essa era una perfetta metafora dell’esistenza umana, il luogo ideale per costruire una narrazione o una magia.
“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte." Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...

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