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La condivisione pubblica del proprio mondo intellettuale e di altre cose ancora non è obbligatoria, necessita di interlocutori che possiedano misura e conoscano gli spartiti, il tempo mi ha insegnato che è cosa rara. Tuttavia l'intima, leggiadra felicità di comunicare al mondo che siamo vivi e pensanti è innegabile, non farlo o non poterlo fare o, peggio, non volerlo più fare è un passo avanti verso la fine. La solitudine e la malinconia di viverla così può guarire o essere in parte addolcita da un brano musicale o un testo? A me accade che la scrittura mi liberi, è essenziale, oggi importa molto meno di prima che sia compresa e condivisa, questa è la grande differenza tra la mia vecchia generazione e quella odierna. Io ho scritto, se non comunico, se non entro, se non possiedo il modo adeguato in questa parte di mondo virtuale devo rassegnarmi. Ho scritto ugualmente e tanto mi basta. Credo che il gesto del mettere nero su bianco abbia una sua intrinseca dignità e rappresentatività al di là della sua fruizione virtuale ( mi consolo così). Negli anni tra il 2012 e il 2017 mentre cercavo di sistemare i post originali di omologazione e disperdevo le mie residue energie in rete, ho anche organizzato un blog con quasi 200 post. Poi come al solito l'ho lasciato in sospeso andandolo a guardare di tanto in tanto, mi piaceva. Niente di particolare, niente di nuovo, i post erano anche in questo caso assemblati cucendo assieme i miei testi secondo gli umori di quel particolare momento. Era un gesto di sfida verso chi mi aveva bistrattato, umiliato e deriso, non era certo uno spirito di serena condivisione. Così oscurai il tutto. La solitudine fa anche questo, isola dal resto, ti dà l'impressione che tu non sarai mai più in sintonia con niente, che resterai chiuso dentro la tua bolla, che qualunque cosa tu scriva rimbalzerà frantumandosi in mille schegge sulle pareti della gabbia in cui sei prigioniero. Non ho ricette amica mia, ho solo un archivio di errori e tentativi nei cassetti, un centinaio di emozioni sospese e un gran numero di dubbi irrisolti.

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Vincenzo

“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte."  Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...

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controsensi

Rimescolare le carte in ossequio a tendenze e ideologie imposte da una pseudo cultura da web pilotate da un europeismo a senso unico non fa per me. Non mi piacciono coloro che dopo decenni di lotta per la laicità dello Stato e dei cittadini, dopo prese di posizione durissime nei confronti del Vaticano e della idea cristiana di società, dopo anni di scrittura sulla liberazione femminile, non alzano un dito, non scrivono un rigo non cantano una canzone contro il mondo islamico ma invece scrivono in rete felici e beati del suicidio intellettuale verso cui stanno precipitando. O sono pazzi o sono ipocriti: li disprezzo in entrambi i casi.