La domanda non aveva mai avuto risposta degna, era in ascolto come allora, come sempre. Era solo in quell’abisso, solo in quella casa, solo in quella vita. L’unica che aveva o si era costruito. Si stava concependo come un’ombra, una sorta di suicidio scontato senza spettatori. Non sopportava più gli inviti ad equilibrio, compostezza, misura, solidarietà, civiltà…amore. Gli avevano spiegato il meccanismo infinite volte ma era tardi, troppo tardi: nessun interlocutore, nessuna analisi, nessuna comprensione, salotto vuoto, corridoio spento, cucina vuota, il suo nido abbandonato per sempre al numero civico 28. Alzarsi e scivolare in silenzio tra la sua vita, guidare la sua ombra fino all’uscio era il consueto automatismo, funzionava benissimo: abbassare la maniglia, infilare la chiave nella toppa, girarla per tre volte, girarsi. Scendere le scale. La fuga era iniziata.
“Scrisse, scriveva, ritenne fin da ragazzo che fosse meglio osservare il mondo attraverso la scrittura. Poi, più grande, lesse le emozioni della vita posandole su un foglio di carta: non sa ancora se fu un errore ma comincia a nutrire seri dubbi sulle sue scelte." Non c’è più tempo si è detto e il tempo è volato via. Sono rimaste solo queste parole come cornice ad un uomo sconosciuto che non è mai riuscito a incontrare se stesso. Pensò che almeno qui lei capisse, continuò a crederlo contro qualunque evidenza. Che qui fosse finalmente diverso e senza fine, che qui fosse essenza vera e che solo questo importasse. Scrive ancora di tanto in tanto, poi socchiude gli occhi e guarda lontano ma non riesce più a scrivere quel che vede. Vincenzo voleva scrivere fin da ragazzino, gli piaceva l’idea del foglio, della penna e del pensiero che vi si fermava sopra. A lungo credette che anche il più piccolo evento serbasse in sè l’idea della vita e dei suoi misteri: scriverne era una magnifica a...

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