domenica 31 marzo 2019

IL RITRATTO - Scritto qualche anno prima del libro di S. Auci

Questa è la storia vera di un vero mistero. Negli anni a cavallo tra la fine dell’ottocento e gli inizi del secolo successivo Palermo era completamente nelle mani della famiglia Florio. Tutta l’economia della città e di gran parte dell’isola dipendevano dall’azione economica e imprenditoriale di questa famiglia. A differenza del potere esercitato dai politici nostrani nel secondo dopoguerra, i Florio usarono la loro immensa ricchezza per abbellire veramente la città e la fecero diventare una meta sociale e culturale di livello europeo. Questo è un dato di fatto indiscutibile, Palermo conserva ancora le tracce di una stagione fulgida e irripetibile, teatri, ville, manifestazioni…sogni e dipinti. La moglie di Ignazio, la baronessa Franca Jacona di Sangiuliano ebbe in tutto questo una parte fondamentale: se è vero il detto che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, qui le posizioni si invertirono e fu Franca sempre in prima fila, sempre una spanna sopra tutti, sempre e per sempre la regina di Palermo. Cultura, classe, fascino, intelligenza, portamento e una disponibilità economica senza fine fecero di questa donna un mito che ancora non muore. Ai primi del 900 il pittore Giovanni Boldini venne a Palermo su invito di Ignazio per eseguire un ritratto di Franca; Boldini era l’artista più famoso del tempo, una vera icona dell’arte europea, aveva posato per lui il fior fiore dell’aristocrazia del bel mondo dell’intero continente. La signora Florio non poteva mancare all’appuntamento. Il quadro non piacque al padrone di casa che lo rifiutò poichè a suo dire la moglie appariva in modo troppo sensuale e discinto con una spallina scivolata sul braccio e un abito molto corto che lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù. a distanza di qualche anno fu eseguito un secondo ritratto, molto più casto del primo, di cui è rimasta solo una foto in B/N ; ma il primo ritratto ritornato “a casa” in un salone di Villa Igea a Palermo porta comunque una data “impossibile” cioè 1924 e ritrae invece una donna nel fulgore della sua giovinezza e non una signora di 51 anni come scritto in calce al dipinto. Vincenzo Prestigiacomo ha svelato il mistero dei due quadri in occasione della conferenza “Franca Florio e l’atmosfera culturale dell’epoca”, svoltasi a Villa Igea. Boldini si reca a Palermo nell’aprile 1901 e realizza un ritratto di Donna Florio. Il quadro è giudicato da Ignazio Florio un po’ osé per via delle caviglie e le braccia scoperte, la scollatura mozzafiato che rivela anche le spalle e la veste di seta che esalta le forme. Pertanto chiede all’autore di apportare delle modifiche e lo fa spedire nel suo studio di Parigi. Intanto, nell’agosto 1902, muore la primogenita dei Florio, Giovannuzza e il dipinto passa in secondo piano, mentre Donna Franca si ritira a Favignana. Siamo a dicembre e i due coniugi accettano l’invito dell’amico banchiere Maurice de Rothschild nella sua villa di Beaulieu sulla Costa azzurra, ma la sera del 4 gennaio muore per cause misteriose il secondogenito, Ignazio jr., detto “Baby boy”. Nel frattempo, il pittore Ettore De Maria Bergler aveva preso contatto con la Biennale di Venezia per esporre il quadro di Boldini, che però ancora non aveva modificato. Il ritrattista, stimolato da Bergler, dipinge un’altra tela del tutto similare alla prima, ma più ‘casta’: il vestito di seta viene sostituito da uno di velluto che copre caviglie e braccia. Boldini vi fa poi una foto e la spedisce a Palermo: Ignazio dà il benestare e va nell’ottobre 1903 a Venezia con la moglie, nonostante fosse al settimo mese di gravidanza. Alla fine della mostra il dipinto torna a Palermo ma, col tracollo finanziario della famiglia, alla fine della Grande guerra, viene sequestrato insieme ad altri beni dalla Banca commerciale italiana, finendo nella sua direzione regionale, in corso Vittorio Emanuele, e non si hanno più notizie. Probabilmente rimane sotto le macerie dei bombardamenti del ’43, di certo, a differenza di altri beni, non viene venduto, come è stato invece detto. L’originale dipinto nel marzo del 1901 viene acquistato da De Rothschild che lo vede nello studio del Boldini appunto nel 1924: lo fa autografare e datare e poi lo regala ai Florio. L’autore, forse per una distrazione o forse perché non ricordava l’anno esatto della sua realizzazione (era ormai ottantenne), lo firma e lo data come se fosse stato dipinto lo stesso anno della vendita. Questa la cronaca dei fatti, io mi sono permesso di costruirvi sopra un racconto verosimile.



Palermo, marzo del 1901. 

-Signora devo portarli tutti e due nel salone –
La signora si voltò con calma lasciando che la luce tiepida e luminosa del mattino le sfiorasse le spalle candide e trovasse poi il tempo di tracciare una lama splendente sulla consolle e sul pavimento in ceramica a fiori. Rispose solo con un cenno alla cameriera che conosceva il suo strano languore quando il giorno si fermava sospeso a guardare il tempo trascorrere tra la bellezza della luce, il profumo del grande giardino e il suono lieve e discreto che da lì proveniva. Non era indolenza ma solo piacevole e goloso stupore di vivere, di godere dell’immediato con la coscienza di quel sarebbe poi avvenuto.
Si diresse verso l’ampia finestra e la luce di quel marzo tiepido le scaldò il sangue sotto la pelle ambrata: il pensiero del giorno dopo le girava nella testa. -Perché proprio lui? Ignazio non ha perso il vizio di sfidarmi. Perché Boldini…probabilmente mio marito non sa nulla della pittura del maestro, non sa nulla della suo modo di proporre la donna agli occhi di chi guarda.
-Eccoli signora- la cameriera entrò trascinando il manichino, poi uscì per rientrare col secondo. Lei li guardò entrambi da lontano, se li vedeva già indosso, sentiva il frusciare del tessuto sulla sua pelle e quello più subdolo ed eccitante del pittore pronto all’opera.
-E’ certamente così, non ha mai degnato di particolare attenzione un quadro del maestro ma ne conosce la fama europea. E’ il migliore quindi degno di raffigurare mia moglie- pensò assorta- si sarà fatto questo conto, in fondo mi ama anche per le mie doti di rappresentatività.
Scelse il primo abito, nero, di seta lucida un colore profondo e altero che avrebbe reso ancora più sensuale il decolté e le sue spalle. Lo scelse pensando solo al quadro dell’indomani e a se stessa: il pensiero del marito non la sfiorava più. Era rimasto solo il piacere di giocare col proprio corpo e la propria bellezza: esserne conscia non sminuiva di nulla il suo languore, la rendeva solo più giovane e desiderabile.
-Il suo maestro si è già fatto conoscere signora- azzardò la cameriera- la contessa Tasca si è già fatta ritrarre qualche giorno fa..pare che sia venuto una meraviglia-
Dovette interrompere, lo sguardo imperioso della signora Florio la gelò in un attimo. Prese l’abito e lo posò sul sofà: era veramente bellissimo, stretto in vita con una scollatura così ampia che solo su una donna molto alta e dal portamento adeguato non sarebbe risultato eccessivo o sconveniente.
-Mi risulta che il signor Boldini abbia ricevuto parecchie richieste in questi primi giorni di soggiorno in città. Siamo molte le donne che possono migliorare il suo rapporto con la pittura- Lo disse ridendo pacatamente, ma in fondo vi credeva sul serio. Da anni lei e suo marito stavano cambiando la percezione che l’Italia e l’Europa avevano dell’isola. Palermo era diventato un crocevia ambito e ammirato di commerci e cultura e lei ne era l’indiscussa regina. Chiuse per un attimo i suoi occhi verdi e rivide tutto in un momento: nessun gesto, nessuna idea le sembrava artificiosa, tutta la vita era un sentiero scontato e perfetto che non poteva che condurre a quell’appuntamento coll’eternità dell’immagine. Un quadro.
Il mattino seguente pareva che una improvvisa frenesia avesse preso la casa intera: i domestici correvano frettolosi da una corridoio all’altro e le donne sembravano tutte impegnate in cose assolutamente non rimandabili. Il padrone di casa era uscito di buonora, faceva spesso così anche se era ritornato alle ore piccole la sera prima. Questa volta la scusa era un incontro importante al Banco Florio per decidere di alcuni investimenti riguardo alle tonnare delle Egadi: averle acquistate per intero aveva smosso il mondo della finanza italiana ma forse non era stato un buon affare a lunga scadenza. Lei non si era mai mischiata direttamente nelle questioni di Ignazio, capiva e ragionava meglio di quanto lui sospettasse ma ne era “giudiziosamente” fuori; il suo compito era un altro, era quello di mostrare la faccia pulita e nobile di una terra e della sua cultura, condurre la danza come nessun’altra avrebbe mai potuto fare.
-Annina portami l’abito e gli accessori- poi si sedette davanti all’ampia specchiera e la interrogò sul suo stato attuale. Aveva combattuto da anni contro la condizione genetica della sua pelle ambrata e olivastra da meridionale: non combaciava in alcun modo con la sua idea di bellezza e lei non era certo disposta a passare sopra alle sue convinzioni. Da molto tempo, forse dai tempi del fidanzamento con il marito, aveva stretto un patto con la bellezza: le aveva fatto chiaramente intendere che Franca e solo lei avrebbe guidato il suo cammino verso l’immaginario che sempre una donna stimola nel mondo circostante. La sua figura, la sua altezza fuori dal comune per i tempi e tutto quell’insieme di cose che andavano sotto il nome di classe genuina e portamento a lei non potevano bastare. Erano un fatto fisiologico, naturale, se ne era convinta, doveva in qualche modo intervenire su questo regalo della natura, doveva mettervi sopra il suo personale imprimatur. L’anno prima a Parigi il desiderio di intervenire su se stessa era diventato realtà: la porcellanizzazione del viso cui si era sottoposta aveva sortito gli effetti voluti. Adesso gli abiti risaltavano come lei sperava… guardò a lungo quello nero che le si apriva davanti sul sofà. Chiuse gli occhi e se lo vide chiaramente addosso, era un esercizio che faceva sempre, come se lo avesse già indossato. Era perfetto.
La cameriera impiegò almeno mezzora a vestire la signora, stringendo, stirando, adattando, piegando e carezzando la stoffa. Quando tutto fu terminato si discostò dalla padrona e la guardò in silenzio. Franca Florio sembrava ancora più alta davanti a lei, l’abito le dava un’imponenza statuaria e la ragazza la guardava come ipnotizzata. Con passo lento attraversò la stanza e arrivò alla finestra che come molte altre dava sull’immenso giardino: l’aria era tiepida e profumata quasi un inizio d’estate imprevisto. Il verde si perdeva a vista d’occhio, non c’era altro all’orizzonte del cielo chiaro: sorrise leggera immaginando il confine invisibile al di là del giardino, un gioco da ragazza che deve ancora scoprire il mondo. Ma il mondo al di là delle chiome verdi presentava un altro grande giardino che si apriva dove la via Dante segnava la distinzione tra due territori nettamente separati. Due modi diversi di vivere e interpretare ricchezza e bellezza, sud e civiltà, moda e relazioni. I Whitaker di villa Malfitano sembravano appartenere ad un’altra Palermo quella che non avrebbe nemmeno concepito un fatto come questo che lei si apprestava a vivere. Decise di coprire con un soprabito cremisi chiaro lo sfolgorante abito che aveva indossato: non avrebbe rinunciato per niente al mondo all’effetto sorpresa nei confronti del famoso pittore. L’anno prima aveva ascoltato con le sue orecchie Ignazio vantarsi della bellezza della moglie… “ Quando verrà a Palermo dovrà perdere molto tempo caro Boldini per trovare l’esatta mescolanza di verde per il colori degli occhi della mia signora!” Sciocco come tutti gli uomini pronti a vantarsi di una donna come se la sua bellezza fosse merce di scambio e non regalo impagabile della vita.
- Andiamo Annina, si sta facendo tardi- Uscirono entrambe dalla stanza e attraversarono i due lunghi corridoi fino alla grande porta in mogano massiccio. La villa aveva almeno una quarantina di stanze e lei non le conosceva proprio tutte; era un fatto naturale. In genere i suoi percorsi abituali erano altri, la camera da letto, il grande bagno, la stanza personale con quegli incredibili pavimenti a petali di rosa in ceramica… il corridoio verso il grande salone e la carrozza sempre pronta per una passeggiata in città o sul lungomare. Questa porta e il panorama al di là di essa le sembravano del tutto nuovi.
-Puoi andare cara- disse ad Annina- vai a sistemare la mia stanza e se incontri mio marito digli che le sedute sono cominciate- Guardò la ragazza andare via leggera, si girò nuovamente verso la porta, abbassò la grande maniglia in ottone e si avviò verso l’incognita del nuovo giorno.

La stanza era grande con una larga finestra parzialmente coperta da una sontuosa tenda in cotone bianco finemente lavorata, pensò di non averla mai vista, non così almeno. Di lato sulla destra c’era un cavalletto di medie dimensioni ma quello che più colpiva l’attenzione era una grande tela sulla sinistra assolutamente bianca e vuota quasi più grande della sua persona in toto. Boldini sembrava essersi accorto solo allora della presenza di qualcuno nella stanza, assorto in chissà quali pensieri, si girò lentamente verso di lei. E sgranò gli occhi.
-Madre santa quant’è ridicolo quest’uomo-
riflettè automaticamente Franca osservandolo con un lieve sorriso sulle labbra, il pittore non si poteva certo definire un bell’uomo: piccolo con gambe magre a sorreggere un corpo panciuto. Soltanto gli occhi neri e vivaci gli rendevano giustizia.
– Signora la prego si accomodi per quanto possa sembrare ridicolo dirlo a casa sua- e fece un ampio gesto con la mano nell’invitarla a prendere possesso del centro della stanza. La donna annuì con un breve cenno del viso, fece un paio di passi in avanti e continuò a guardarsi in giro. La stanza era piena di oggetti e di odori, il più forte era quello della carta, dei tessuti e del legno, un insieme speziato ma non eccessivo: la colonna sonora era composta dai rumori lontani del giardino, della casa, dal respiro della vita che cresceva di minuto in minuto.
– Bene maestro eccomi pronta, mi dica in che modo possa aiutarla.
– Signora la prego la sua sola presenza qui è fonte di grande e inestimabile piacere…
– Sa usare bene anche le parole vedo, oltre ai pennelli…
e rise con quella risata argentina e colorata che da sola avrebbe cambiato il modus di qualsiasi interlocutore.
– Sa che non ero mai stata così dentro l’attività di un pittore, intendo dire a contatto con i suoi oggetti… le sue cose. E’ un’esperienza nuova per me – parlando si muoveva, si girava, e il maestro la seguiva in adorante silenzio. Lei lo sapeva, era perfettamente conscia del suo potere sugli uomini, sapeva che atmosfera si creava appena entrava in un ambiente, in un salotto. Ne rideva in cuor suo ma in fondo non ne aveva mai approfittato e questo distanziarsi dal mondo dei sensi immediati la rendeva unica. Non si trattava di quella rarità di cui, parlando di lei, scriveva D’annunzio e nemmeno di quel tipo di adorazione quasi scontata dalla quale era circondata ovunque. Sapeva muoversi tra l’ammirazione e l’invidia e ogni tanto incontrava la gioia di una consapevolezza meno ovvia; non era quasi mai collegata all’altrui bellezza estetica.
– Dovremmo cominciare non crede maestro? Non so che fare mi dica – sorrise di nuovo – come devo mettermi?
Si era accorta del silenzio costante di Boldini ed era convinta di conoscerne la natura: l’ammirazione mista a desiderio di qualunque uomo avesse lei incontrato. La risposta dell’uomo la fece ricredere.
-E’ necessario preparare prima delle bozze madame, un quadro deve rappresentare altro in più delle fattezze esterne…almeno un mio quadro! Mi perdoni delle mie attenzioni che potrebbero essere male interpretate, vede non serve che lei si metta in alcuna posa per ora. Credo che per oggi sarebbe più utile… un colloquio sui suoi gusti, le sue idee e forse, mi perdoni l’ardire, i suoi desideri meno noti-
Parlò con voce pacata e sicura e cambiò in un momento il corso di quella giornata e di quelle successive. La donna si sentì rinfrancata, messa in una posizione di intimità carezzevole e insperata, il ritratto si allontanò sullo sfondo e il colloquio si spostò lentamente ma decisamente sulla città, i suoi abitanti, la sua storia minuta e quella appariscente dei ricevimenti e delle serate sfavillanti. Teatri, saloni, giardini e piccoli segreti… ogni cosa serviva a i due interlocutori per definire un quadro complesso e preparatorio a quell’altro che aspettava, vuoto e bianco, la sua investitura. Non era la signora Florio la prima attrice di quel parlare fitto e veloce ma Palermo, una città irrimediabilmente attratta dallo sfarzo più che dall’accumulo, dalla luce magari artificiosa, da un sogno di bellezza e internazionalità insito nell’aria ma mai completamente e definitivamente realizzato nel tempo Boldini rispondeva, chiedeva, ascoltava e dipingeva con la mente una signora siciliana evidentemente diversa dagli stereotipi abituali; pian piano si accorse che quella complicità essenziale per dipingere un’anima si era accomodata tra loro con una naturalezza che lui non aveva mai incontrato. La donna parlava con quel tono piano e modulato al tempo stesso, muovendo poco le mani ma usando soprattutto gli occhi e le guance; il pittore capì all’improvviso dove si celava il segreto del suo fascino. Era concentrato nel movimento, nel dinamismo nuovo e duttile che l’avvolgeva come un aura sottile; avrebbe dovuto dipingere quello, trasmettere quello, ricordare per sempre quello che gli occhi verdi di Franca raccontavano al mondo e che il mondo spesso capiva solo a metà.
-Madame è rimasta con il soprabito addosso come quando è entrata, la prego mi permetta di aiutarla se lo tolga. C’è un caldo imbarazzante qui dentro.
Lei parve non ascoltare, si alzò e con noncuranza si voltò dall’altra parte della stanza e si avvicinò al tavolo ingombro di carte e fogli da disegno.
-Non si confonde in tutto questo disordine maestro?- disse sfogliando e rimescolando i fogli- oppure è uno di quegli uomini cui piace allevare il proprio ordine mentale in un apparente caos esteriore?
-Può darsi ma non era previsto che la mia modella si occupasse così tanto di tutto ciò che circonda un quadro e la pittura
– Sono curiosa è vero e lei rappresenta un lato dell’estetica che ai più è nascosto.
– Sono solo schizzi di vario genere signora. Abbozzi, idee lasciate a metà, vite da completare. Se non le fermassi subito così potrebbero svanire per non ripresentarsi più allo stesso modo: è la loro iniziale baldanza a colpirmi, non posso trascurarla.
Lei annuiva, carezzando quei fogli, rigirandoli e guardandoli come la corolla di un fiore segreto. Poi d’improvviso si fermò e guardando un foglio un po’ più grande degli altri sussurrò
– Giulia….è un disegno recente questo, riconosco l’abito di non più di dieci giorni fa, l’abbiamo scelto assieme. Quando è accaduto? Quando ha incontrato la baronessa Trigona?
– Un paio di giorni fa signora…spero che tutto questo non le appaia sgradito, io non potevo esimermi e comunque…
-Maestro, non dica oltre la prego, il ritratto è bellissimo…bellissimo- la voce divenne accorata- ma è così triste, sembra un presagio di grande malinconia.
-Signora le assicuro…
-Giulia cosa nascondi in quello sguardo, cosa non mi hai detto?- e rimase in silenzio per un lunghissimo istante mentre il pittore la guardava interdetto. Un grande silenzio si impose nella stanza, una pausa che non ammetteva repliche ed era intima, privata non commentabile. Il ritratto di Giulia Trigona pareva aver spezzato il ritmo naturale dell’incontro e fu per questo che la signora decise di chiudere la seduta per quel giorno.
-Maestro è meglio sospendere per oggi – Boldini la guardò disponibile e attento – non sono nelle condizioni adatte per un ritratto, il mio umore ne rovinerebbe i tratti. Riprenderemo domani in questo stesso luogo.-
Porse la mano che le fu sfiorata dall’ossequio di rito, si girò ed uscì dalla stanza. Il pittore la guardò andar via così come era entrata, chiusa nel soprabito come nel riserbo di una confidenza solo accennata. Andò al tavolo e prese tra le mani il ritratto della Trigona: lo osservò con estrema attenzione per scoprire quello che gli occhi di un’altra donna avevano visto e che lui aveva fermato nei tratti di matita senza avergli dato il nome giusto.

Quando il mattino seguente la maniglia della grande porta si abbassò di nuovo lui era pronto, acceso e nervoso: la signora Florio non lo avrebbe trovato più impreparato. Poiché questo egli sentiva fosse avvenuto il giorno prima: senza sapersene dare una qualsiasi spiegazione egli era stato preso alla sprovvista su tutto e non dipendeva dal fatto che si trovava a lavorare in un ambiente “estraneo” lontano dal suo studio parigino; era un uomo avvezzo ai cambiamenti e agli splendori del bel mondo dorato e esclusivo nel quale da anni operava. Decine di donne bellissime e eleganti avevano posato per lui, sorrise pensandoci, e con tutte era stato lui a dirigere la danza di quell’etereo corteggiamento che in realtà è il ritrarre una donna. Oggi non sarebbe stato diverso decise osservando la stanza in tutti i particolari; le aveva dato nel pomeriggio precedente una sistemazione accurata e, soprattutto, aveva nascosto il ritratto che aveva così bruscamente interrotto il sogno il giorno prima. Adesso ogni cosa era al suo posto apparentemente intatta ma invece ordinata secondo un proposito di seduzione in divenire che già altre volte aveva dato i suoi frutti.
-Buongiorno signora, si accomodi la prego- e le baciò elegantemente la mano.
– Maestro eccomi qui: mi scusi per ieri ma mi creda era diventato improvvisamente impossibile posare per me.
– Capisco perfettamente- lo disse mentendo spudoratamente- ma può capitare…sono qui per servirla mi creda. Possiamo iniziare, la prego vada su quel lato e volga il viso verso la luce che arriva da dietro la tenda…ecco si avvicini a quella poltroncina scura e, per favore, tolga il soprabito.
Lei eseguì con lentezza studiata, si addossò alla parete, volse il viso a destra verso la luce e fece scivolare il soprabito a terra di lato.La stanza si illuminò come per magia e lo splendore dell’abito in seta nera e lucida fece dentro la mente del maestro lo stesso effetto di un’esplosione. La donna non lo guardò quasi, stette immobile sorretta solo dalla sua palese bellezza, indifferente ai particolari che si andavano assommando attorno alla sua figura ma per il pittore diventato improvvisamente uomo era quasi impossibile nascondere l’ipnosi che lei aveva suscitato. Trovarsi così, senza difesa alcuna nell’identica situazione che egli aveva studiato di evitare lo fece sentire ridicolo e smarrito, doveva evitare che donna Franca se ne accorgesse. Ma ormai l’incantamento aveva preso possesso del tempo e dei modi: la mano rimasta immobile con la matita tra le dita, lo sguardo fisso, gli oggetti fermi, sospesi e spettatori malinconici di un momento irripetibile, il petto bianco che si muoveva leggermente e regolarmente dentro la scollatura vertiginosa… la lunghissima collana di perle a sottolineare la figura alta e slanciata come una cornice per un quadro già finito. Il pittore uscì da quella lunghissima sospensione con uno sforzo considerevole: si spostò leggermente e guardò la sua modella di profilo cominciando a tracciare i primi segni sul foglio. Le disse di alzare il braccio con cui teneva la sciarpa di seta leggera e trasparente
– Guardi all’infinito signora come se pensasse intensamente ad un segreto… ecco così. Bellissima, bellissima- le indicava la direzione segnando febbrilmente i tratti sulla carta e lei eseguiva quasi precedendo di un attimo i suoi desideri. Poi d’un tratto lei si sedette sulla poltrona nera lì accanto, si volse verso Boldini, lo guardò con intensità e con un gesto sicuro accavallò le lunghe gambe scoprendole e svelando le calze velate di seta fermate alla coscia da una giarrettiera. La matita andò veloce sul foglio per non dimenticare il momento imprevisto e insperato.
-Maestro, quando dipingerà quello – disse indicando la grande tela bianca – voglio che si ricordi di ciò che ha visto un momento fa-
Il pennello iniziò a guizzare sul tempo, i sogni, il desiderio sgranato come le perle della lunga collana: passò un’intera vita in quella stanza, il passato già lontano, il presente vibrante e un futuro per sempre fissato sulle pieghe dell’abito da sera. “Senza di lei la storia dei Florio sarebbe stata una storia verghiana, solitaria e dolorosa, di accumulazione di sommessa e inesorabile fatalità; con lei diventa una storia proustiana, di splendida decadenza, di dolcezza del vivere, di affabile e ineffabile fatalità”. L Sciascia


NB - L'accenno a Giulia Trigona nasce da un fatto realmente accaduto. Nella tarda mattinata del 2 marzo 1911, la contessa Giulia Trigona di Sant’Elia, 29 anni, moglie infelice del conte Romualdo Trigona di Sant’Elia, madre di due bambine, dama di corte della regina Elena, morì per mano del suo amante, il tenente di cavalleria barone Vincenzo Paternò, in una stanza del modesto hotel Rebecchino di Roma. La relazione tra i due era iniziata l’11 agosto 1909 ma, dopo circa due anni di passione, appuntamenti furtivi e pettegolezzi, lo scandalo stava ormai per travolgere le famiglie. Fu così che Giulia Trigona decise di troncare la relazione, contro il volere di Vincenzo Paternò. Questo scatenò la follia omicida dell'uomo, femminicidio d'altri tempi di cui parlo' l'Italia intera.

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